Psicopatologia dell'età evolutiva

La problematica relativa alla classificazione diagnostica dei sintomi, già complessa per gli adulti, appare più difficile ed amplia per quanto riguarda la psicopatologia dell’età evolutiva, anche per la presenza di due variabili aggiuntive: la prima è costituita da fatto che   i bambini, prima della preadolescenza, raramente riescono a riferire i propri sentimenti, i propri pensieri più intimi. Questa incapacità presente nei bambini, che coinvolge la sfera cognitiva ma anche quella relazionale, affettiva ed emotiva,  fa sì che  l’attenzione degli adulti che si prendono cura di loro si concentri maggiormente sui sintomi più esterni, quelli  che coinvolgono le funzioni comportamentali e quelli quelle  vitali (alimentazione, ritmo sonno/veglia…).
Un adulto, infatti, appare generalmente più o meno in grado di riferire dei suoi contenuti mentali, possiede strutture mentali ed emotive associate a questa capacità ed un certo grado di autoconsapevolezza.
Un bambino non ha ancora la capacità di riflettere sulle proprie emozioni o sui propri pensieri, sta costruendo la consapevolezza di avere una mente, ma ancora non è in grado di riferirne su richiesta, la sua mente va inferita osservandolo giocare, interagire con i genitori, gli adulti ed i pari, rispondere alle richieste ambientali…
Un secondo problema è quello di capire la differenza tra sintomi transitori, che segnalano un disagio temporaneo, spesso,  di natura reattiva legato a cambiamenti o ad eventi familiari non necessariamente patogenetici (nascita fratellino, inizio scuola primaria, cambiamento di città, separazione genitori…) ed una vera e propria sintomatologia organizzata a livello della personalità in modo strutturato e stabile.
Inoltre, ci sono sintomi che creano uno stato di minore preoccupazione nei genitori e negli insegnanti perché mettono meno alla prova gli stessi adulti nella relazione con il bambino, come alcuni  comportamenti di tendenziale chiusura del bambino e difficoltà alla socializzazione (introversione, timidezza, preferenza per giochi solitari) o condotte di iperadeguamento alle regole e mancanza di oppositorietà, mentre altri disturbi come quelli oppositori  o aggressivi oppure quelli relativi alle difficoltà di apprendimento allarmano subito i genitori che si attivano immediatamente ricorrendo senza troppi indugi allo psicologo dell’età evolutiva.
Così i manuali diagnostici sono precisi sui sintomi comportamentali e sui disturbi dell'apprendimento e molto vaghi o inutilizzabili sui sintomi della sfera emotiva, per quello che riguarda i bambini. 
In realtà, per comprendere ciò che accade nella mente di un bambino bisogna prima di tutto provare a mettersi al suo livello, sporcarsi giocando  per terra con lui, cercare di capire il mondo dal suo punto di vista e, non ultimo, capire funziona la “mente relazionale” nella quale vive: i rapporti con i suoi genitori, l’immagine che loro hanno del figlio, se e come rispondono ai suoi bisogni, alle sue richieste e quanto le considerano importanti.
Perciò, appare fondamentale, ai fini di una corretta psicodiagnosi,  partire sempre dalla comprensione del motivo per cui quel genitore si è preoccupato, perché si è attivato proprio in quel momento e per quel sintomo.
Nella prassi psicologico-clinica, è oggi ovviamente diffuso l’assunto che non si possa comprendere il disturbo del bambino senza considerare le variabili familiari nel quale il sintomo è inserito, così come è assolutamente necessario evitare il ricorso in età evolutiva a categorie diagnostiche rigide, utilizzando, viceversa, criteri di classificazione psicopatolologica di tipo dinamico, basata sulla valutazione complessiva della personalità e sulla comprensione del significato del sintomo in quel bambino.